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DAL "PUNTO DI VISTA" SETTECENTESCO AL "PANORAMA" ROMANTICO
Scrive Giovanni Macchia a proposito di Montesquieu osservatore di città: «Montesquieu osserva prima la città dall'alto. Quando giunge in una città, si situa sul campanile più alto, o sulla più alta torre, per vedere le tout ensemble, prima di distinguerne le parti. Quando la abbandona, ritorna sullo stesso campanile, per ben fissare le proprie idee. Tutto ciò che vien dopo, nella mobilità dell'analisi, degli umori e dei colori, è reso possibile, è condizionato, è misurato da quell'immagine di una città fuori del tempo, fuori del quotidiano, in un'esattezza geometrica, nel suo centro e nelle sue linee che si svolgono, a raggiungere la campagna, i campi. E' l'applicazione di un sistema» (114). Le parole-chiave di questo passo - "idee", "misura", "esattezza geometrica", "centro", "linee", "sistema" - chiariscono alla perfezione il significato dell'operazione di Montesquieu, che consiste nel tradurre tutto in geometria. Perciò è anche giustissimo dire che la città, che da quell'operazione deriva è una città "fuori del tempo e del quotidiano" - è, cioè, un'astrazione, da cui risultano rigorosamente espunti, sia, per esempio, il mutare dell'ora, dei mesi, delle stagioni, sia il colore. Un sistema, dunque, frutto evidente di una cultura che va sempre più definendosi come antitesi della natura, d'un meccanico che sempre più si precisa in opposizione all'organico, d'una geometria, appunto, che sempre più ambisce ad emarginare (o almeno a circoscrivere) il caos. E' un sistema, inoltre, che scaturisce dalla posizione di fatto d'un problema di omogeneità fra oggetto da osservare e modi di osservazione: se la città si definisce come qualcosa di sempre più costruito, altrettanto progressivamente costruita ("l'artefatta") occorre ne sia l'osservazione. E difatti, tutte le descrizioni montesquieuviane di città dall'alto, saranno singolarmente, "scientificamente" laconiche. A Venezia, per esempio, Montesquieu sale sul campanile di San Marco e vede "la disposizione del Lido e di tutte le isole della laguna" (115): non una parola in più. A Genova abbraccia tutta la città dal giardino del principe Doria, trovando "incantevole" nemmeno il panorama, ma solo la posizione del giardino (116). A Roma, scopre nel convento dell'Ara Coeli un ennesimo luogo da cui si può vedere "tutta Roma comodamente", ma poi descrive il contiguo Campidoglio (117) piuttosto che la parte di Roma più immediatamente visibile, allora, dall'Ara Coeli (e cioè, niente di meno che il Foro Romano con le medievali torri delle Milizie, Colonna, Del Grillo, Conti e Capocci) (118). C'è, poi, un altro modo relativamente innaturale, comunque "costruito" anch'esso, con cui sorprendere una città: arrivarci dal mare. Ma Montesquieu, anche in questo caso, non cambia atteggiamento: il suo sguardo si limita a geometrizzare. Di Genova, sorpresa dal mare, dice soltanto: «La città vista dal mare è molto bella. Il mare penetra nella terra, e fa un arco, intorno al quale è la città di Genova». (119).
Napoli:
«La posizione di Napoli sul golfo
è bellissima: è un anfiteatro sul mare, ma profondo».
(120).
E tuttavia, stiamo parlando d'una singola personalità solo in apparenza
Nè le cose cambiano quando il punto di vista è dal mare. A Napoli, in
particolare, de Brosses instaura un parallelo con Genova:
« Ciò che, oltretutto, colpisce in queste notazioni, e che le definisce dal punto di vista storico-culturale, è l'assenza assoluta vuoi, come detto, di qualsiasi riferimento all'ora, o alla stagione, in cui l'osservazione avviene, vuoi di qualsiasi allusione allo stato d'animo dell'osservatore in vista di quel determinato spettacolo: quello spettacolo non viene riferito a nient'altro di soggettivo che non sia un moto lievissimo di pure sensazioni (la coerenza del razionalismo settecentesco, è impressionante). E del resto, per quanto riguarda specificamente l'assenza di colore, che è un altro dei tratti distintivi di questo modo di guardare, essa troverà, alla fine del secolo, una teorizzazione riassuntiva nella Critica del giudizio di Kant:
«Nella pittura, nella scultura, e
in tutte le arti figurative, l'architettura, il giardinaggio, in quanto sono
arti belle, l'essenziale è il disegno, in cui ogni affermazione del gusto non
riposa su ciò che diletta nella sensazione, ma su ciò che piace semplicemente
per la sua forma. I colori, che avvivano il disegno, appartengono
all'attrattiva: possono bensì ravvivare l'oggetto per la sensazione, ma non
farlo degno dell'intuizione, e bello; sono, invece, quasi sempre molto limitati
da ciò che esige la bella forma; ed anche dove si può fare una parte
all'attrattiva, è sempre la forma che li nobilita»
(124). (114)
Vedi la Prefazione a MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., pp. XV-XVI. (115)
Ibid. p.148. (116) Ibid. p.41.
(117) Ibid. p.108.
(118) Dobbiamo questo
elenco delle torri medievali visibili dall'Ara Coeli, a FERDINAND GREGOROVIUS,
op. cit., vol. I, p.112.
(119) MONTESQUIEU, Viaggio in Italia, cit., p.
107. (120) (121) (122)
(123)
(124) IMMANUEL KANT,
Critica del
giudizio, trad. it. ALFREDO GARGIULO, riveduta da VALERIO VERRA, Bari, Laterza,
1960, pp.68-69 |